24 dicembre 2022

I ragazzi del Concorezzo protagonisti di Fair Play


Nello sport, in qualsiasi sport, coesistono due livelli di competizione: il primo è quello della rivalità con “l’altro”, l’avversario da battere sempre e comunque per sentirsi migliori. Il secondo, indubbiamente più importante, è quello della sfida a noi stessi e ai nostri limiti, fisici e mentali. Il rapporto tra le due facce della medaglia è ancora più evidente nelle discipline di squadra, in cui il successo è prima di tutto il risultato di cooperazione, equilibrio, intesa e aiuto reciproco. Eppure, spesso, più si alzano il livello di agonismo e la posta in palio, e più si tende a ignorare questa gerarchia o a ribaltarla, esaltando nella gara solamente l’obiettivo ultimo della vittoria, da raggiungere a ogni costo e in qualunque modo.


Ecco perché oggi nello sport, in qualsiasi sport, non c’è niente di più difficile che essere sportivi. Anzi, da questo punto di vista il mondo del calcio, tanto nei suoi stadi miliardari quanto nelle categorie minori in cui “se non c’è sangue non c’è fallo”, ha sempre goduto della peggior reputazione possibile. A essere onesti, anche in tempi più recenti le cose non sembrano essere migliorate granché, tra mondiali organizzati in paesi dal dubbio rispetto per i diritti umani ed esempi di finanza creativa tra club di primissima fascia, in nome dello show business e in barba a qualsiasi regola. Ma proprio in virtù dell’immensa popolarità di cui gode ogni palla che rotoli su un rettangolo verde, capita che a volte emergano storie in grado di risalire con forza la corrente, e ribadire quel che non andrebbe mai dimenticato.


Vicende come quella dei ragazzi dell’OMCC Concorezzo, capaci di rifiutare un rigore inesistente ottenuto all’ultimo minuto contro la prima in classifica, riconcilierebbero con le divinità del calcio (e non solo) anche il più apostata tra gli spettatori, restituendogli la fede nel pallone, ma anche e soprattutto quella nel futuro. Sì, perché gli autori del bel gesto di sportività non sono campioni dalla pancia piena, né adulti smaliziati da una vita tra area e spogliatoio, ma ragazzi classe 2009, già meravigliosamente capaci di accettare con serenità la sconfitta come parte del gioco. Un gioco onesto, un “fair play” evidentemente appreso con successo da allenatori e dirigenza, ottimi interpreti di un’idea di agonismo come processo di crescita caratteriale e morale, prima ancora che fisica. A loro, e ai ragazzi della squadra, un applauso che va oltre la prestazione e le vittorie sul campo. Vittorie che, con un simile atteggiamento e dedizione ai principi dello sport, siamo sicuri non tarderanno ad arrivare.



Stefano Benedetti

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